Rassegna stampa
Presentazione e premesse
Era fine estate quando come progetto Cultura in movimento abbiamo saputo di aver ottenuto il finanziamento per un bando della Regione Piemonte destinato agli Enti del Terzo Settore. La notizia ci rendeva ovviamente contenti, (soprattutto sollevati vista la nostra “continuità nella precarietà” lavorativa), ma allo stesso tempo sentivamo di fondo una sensazione “strana”, un’inquietudine che sapevamo si riferiva al fatto che la nostra progettualità avrebbe dovuto svilupparsi in interventi di accompagnamento e inclusione a favore di giovani Neet. A cosa era dovuta (e in parte lo è ancora) la nostra difficoltà rispetto al tema?
Sostanzialmente per la grande sovraesposizione e insistenza mediatica che vede adolescenti e giovani descritti come irresponsabili, “zombie sociali”, “bamboccioni” viziati interessati solo al divertimento sfrenato e ovviamente sfaticati parassiti riluttanti alle grandi e invitati opportunità di lavoro, magari sostenuti da redditi di cittadinanza e affini.
La categorizzazione Neet (che ricordiamo va ad identificare quella parte di popolazione giovanile che in un determinato momento storico né studia né lavora) crediamo si inserisca, incrementi e sostenga acriticamente questa narrazione. Questo soprattutto per l’etichettatura in sé, che come ogni tassonomia sociale inchioda ad un ruolo, ad una posizione in maniera assoluta e immodificabile nell’immaginario comune.
Allo stesso tempo non possiamo e non vogliamo ignorare la questione in sè, ma vorremmo inserirla in una dinamica che partendo dalle situazioni in carne ed ossa (dei Marco, delle Carla, dei Francesco e Francesca…) le renda realmente sociali e politiche. E se tali dovrebbero essere, dovrebbero interessarci e coinvolgerci tutti e tutte. Insomma ci piacerebbe (al contrario delle categorie) avvicinare e avvicinarci alla tematica rendendoci prossimi alle Storie delle persone, e quindi tenerci lontano dalla colpevolizzazione personale diversificando e complessizzando. Sentiamo la responsabilità di approcciarci ai contesti e ai/alle ragazzi/e che incontreremo come figure vere, autentiche, promotrici di emancipazione.
Ora ci si intenda bene, non siamo e non pensiamo assolutamente di essere dei “salvatori di anime”, ma crediamo che se la pedagogia (e noi educatori con essa) può essere strumento di creazione di soggettività e comunità rinnovate in un’ottica liberatoria, questo possa avvenire solo grazie alla combinazione di contenuti di Senso abbinati ad un passo, ad una postura, ad uno stile che ci renda credibili e soprattutto incarnati in essi.
Quindi Cultura in movimento, la sua inchiesta e pratica pedagogica come possono e potranno muoversi in una tale dinamica, che ripetiamo è fatta di persone e situazioni reali?
Ci permettiamo qui di segnalare solo alcuni spunti, qualche appunto di partenza, ma che come ogni buona modalità di ricerca educativa verificheremo in azione.
Innanzitutto cercheremo di uscire da una pressione narrativa legata unicamente alle passioni, al “devi trovare la tua strada”, perché in alcuni momenti di vita invece di stimolare e dare spinta questa può aumentare ansie e riprodurre “l’imprenditorializzazione della propria vita” o schemi di fallimenti già vissuti.
Ragioneremo sul Senso del Lavoro, inteso soprattutto nel cosa vorrei fare ed essere da grande. Metterci in ascolto quindi degli aspetti multipli e diversificati di una persona. Senso del lavoro come riflessione sull’importanza delle varie mansioni sociali e non come cultura del successo; Senso del Lavoro come alfabetizzazione sulle modalità e condizioni di lavoro.
Proveremo a lasciarci alle spalle le biografie che inchiodano al passato, qualunque esso sia, e di partire da zero, lavorare più sulla sceneggiatura di una vita possibile, su una vita da riscrivere e re-immaginare.
Ci piacerebbe fare tutto ciò creando un clima relazionale caldo e una serie di incontri e di luoghi in cui poterci riconoscere a vicenda.
Tre classi di quinta superiore di un istituto enogastronomico e alberghiero, due gruppi informali di giovani rispettivamente di un centro di aggregazione e di un collettivo politico, persone uscite da poco dalla formazione professionale di stampo elettrotecnico, un gruppo di ragazzi e ragazze appassionati e dediti al rap e infine persone incontrate in strade, parchi e giardini, comunità alloggio e affini…..ecco chi saranno i protagonisti di quello che ci piacerebbe immaginare come un quaderno di storie al futuro, storie di un futuro profondamente diverso da quello di una traiettoria già segnata in partenza.
IL METODO
Cultura in movimento si struttura come un percorso di inchiesta pedagogica (non tecnica, non sociologica) che parte dai vissuti, dai temi dei ragazzi/e per poi trasformali in attività culturali/artistiche che “danno voce” ai partecipanti stessi. Una volta emersi i nodi, le riflessioni e i punti chiave si cerca attraverso forme di cittadinanza attiva e partecipazione pubblica di sviluppare percorsi comunitari emancipativi sulle dinamiche emerse.
Per il progetto Neetwork educante e sui nodi e temi riguardanti il passaggio tra la scuola dell’obbligo e le prime esperienze lavorative abbiamo pensato, immaginato e strutturato il nostro metodo abbinando due “posture” a cui siamo molto affezionati: l’educativa di strada e lo sviluppo della ricerca educativa.
Educativa di strada
Andare e lavorare sul “campo”, raggiungendo cortili, piazze, strade, centri aggregativi, scuole, parchi, ma soprattutto incontrare le persone, conoscerle e capire se può nascere una relazione.
Sono decine gli appuntamenti che nelle prime fasi del progetto, abbiamo realizzato nei vari territori. Sin da subito però abbiamo voluto caratterizzare la nostra presenza come una sorta di “sportello narrativo itinerante”, che potesse evidenziare le storie, i nodi e le tematiche vicine alla vita dei ragazzi e delle ragazze che incontravamo. Rispettando i tempi e le modalità delle relazioni che ogni volta si presentavano davanti, abbiamo voluto indagare con un gioco/laboratorio quale fosse il rapporto con il “tema lavoro” per i e le giovani che incrociavamo sulla nostra strada. Ecco che abbiamo reinventato il “metodo Dixit” per il nostro progetto. Centinaia di immagini prese da giornali, riviste, libri venivano usate come innesco per stimolare riflessioni, dialoghi o veri e propri dibattiti su cosa potesse significare “il lavoro” per le persone che agganciavamo. Da questa pratica e dalla ricchezza di questi incontri abbiamo deciso di estrapolare un piccolo report partendo dalle immagini maggiormente scelte dai partecipanti e dalle risposte che fedelmente registravamo per dare credibilità al nostro approccio.
Ricerca educativa
Dopo questa prima fase e dopo incontri con i nostri partner di progetto abbiamo deciso di sviluppare il vero e proprio Laboratorio di narrazione pedagogica con tre classi di quinta superiore di un istituto alberghiero (Istituto Penna San Damiano d’Asti), due gruppi informali di giovani rispettivamente di un centro di aggregazione e di un piccolo collettivo politico (Cinema Vekkio di Corneliano e Alba), persone uscite da poco dalla formazione professionale di stampo elettrotecnico, un gruppo di ragazze e ragazzi di un progetto di politiche giovanili (Monticello) e una comunità alloggio con ragazzi minori non accompagnati (Casa degli Angeli Canale). I vari oggetti culturali che sono scaturiti e che sono stati inseriti nel quaderno sono emersi da queste tappe di ricerca sommariamente descritte:
- Stimolo culturale (video musicali, estratti da articoli, trasmissioni tv, canzoni, podcast et che permettono di addentrarsi nella tematica e favoriscono la conoscenza delle persone attraverso un rimando e un richiamo ai propri riferimenti culturali sugli stessi temi)
- Discussione ed elaborazione collettiva dei temi emersi ed indagati
- Ascolto e condivisione delle Storie dei partecipanti
- Sviluppo di un oggetto culturale che riprende i nodi e i temi emersi dall’inchiesta
PEDAGOGIA
Ci ripeteremo, ma davvero ci siamo chiesti e ci siamo immersi nella ricerca volendo indagare il possibile rapporto tra la pedagogia (in particolare il nostro approccio popolare e comunitario) e il tema “Neet”.
Dichiarandoci immediatamente con i nostri vari interlocutori (partner di progetto e soprattutto ragazzi e ragazze) volevamo uscire fuori dall’etichettatura generazionale o personale che un termine del genere porta con sé. Ma allo stesso tempo non si poteva e non si voleva ignorare la situazione, perché un fenomeno sociale che vede 3 milioni di persone che “sono inattive” tra percorsi scolastici e mansioni lavorative esiste. I dati parlano inoltre che il 20 % di questi si trovano nel Nord Ovest della penisola e il 20% di questa porzione riguarda il territorio piemontese.
Date queste premesse operative abbiamo sviluppato un percorso guida che veniva poi adattato ai vari territori in cui avremmo lavorato, e soprattutto armonizzato rispetto ai gruppi e alle persone che di volta in volta incontravamo.
Volevamo relazionarci tentando un difficile approccio di decostruzione della narrazione dominante, provando a lavorare sulle svariate situazioni che riguardano “l’inattività” e dando subito la palla ai nostri interlocutori identificandoli come Soggetti, come persone che sul tema delle loro esistenze sono i più degni, attenti e capaci conoscitori.
Abbiamo quindi lavorato sull’estirpare il senso di colpa e di vergogna pubblica che viene destinato a chi (molto spesso temporaneamente) si trova in queste situazioni di “limbo sociale” rispetto al lavoro e ai percorsi professionali e di studio. Inoltre ci siamo volutamente tenuti alla larga da una proposta, dal nostro punto vista erronea, del “devi trovare la tua strada”, “insegui il tuo sogno”. Indicazioni quando non vere e proprie strategie comunicative, culturali, educative e sociali dannose, perché ci fanno immaginare che il lavoro sia una “destinazione”, sia legato al tema del “successo” e alla totale “realizzazione di sé”. Il lavoro per la grande parte di tutti e tutte noi ha a che fare con il “doversi mantenere”. Inoltre in tutto ciò come non tenere conto che il mondo del lavoro si fa sempre più precario, povero e senza tutele e dignità pubblica.
Quindi ci è parso fondamentale provare a lavorare sul Senso del lavoro, inteso come mansione e attività umana, sviluppando percorsi ed attività educative che non si rivolgessero al passato (a volte faticoso e problematico) e ai sogni (a volte sovradimensionati) delle persone, ma alle loro vite possibili calate tra possibilità emancipative, contesti da modificare e capacitazioni da rinnovare.
Lavorare su futuri possibili sia a livello personale che di contesto sociale.
Lavorare su capacità esistenti e potenziali
Lavorare su una presa di parola pubblica rispetto alle narrazioni esistenti
Lavorare per costruire una condizione abilitante attraverso una visione di sé stessi emancipata e in contesti potenzialmente modificabili in senso ugualitario.
Lavorare su un percorso esistenziale di motivazione contro lo sconforto e la disillusione
Lavorare sul promuovere una partecipazione attiva organizzando momenti culturali che riguardano i temi in questione.
Ecco alcuni strumenti utilizzati
Brainstorming Dixit attività che ci ha permesso di incontrare nei contesti di strada molte persone e non fermarci al solo contatto. Attraverso una serie di immagini usate come innesco chiedevamo e registravamo fedelmente le risposte che queste evocavano sul tema lavoro.
Anticurriculum Farci raccontare la propria settimana in termini di tempo speso per le attività che si svolgono abitualmente e per le attività che invece contano di più a livello emotivo e pratico per i vari interlocutori. Da questo laboratorio emergono “storie” e non curriculum, emergono competenze sociali e capacità effettive importanti che hanno molto significato per le varie esistenze.
Permette inoltre un’inchiesta sulle modalità di relazione sociale e di “uso del tempo” da parte dei partecipanti.
Socioanalisi narrativa Elaborazione e proposta di una serie di stimoli culturali che evidenziano alcuni nodi che riguardano la tematica in questione. Per Neetwork educante abbiamo volutamente usato “forzature” mediatiche di una certa notorietà.
“bamboccioni”, “percepitori di reddito di cittadinanza/fannulloni”, “gli stage non si pagano, devi fare la gavetta”, “se non lavori e non studi se comunque un poco di buono”., “i giovani pensano solo al divertimento, allo sballo”
Lettera ad un adulto Da questa attività di socioanalisi abbiamo poi chiesto ai partecipanti di rispondere con una lettera agli adulti che in qualche maniera si facevano portatori delle narrazioni prima esposte. Da questo volevamo fare emergere una “presa di parola” pubblica che permettesse ai giovani di rispondere, di modificare l’impianto mediatico, di non sentirsi unicamente schiacciati da queste posizioni negative e categorizzanti
Dialoghi radiofonici e/o video Con la stessa modalità della lettera, ma attraverso l’uso dell’audio si sviluppano maggiormente discussioni collettive, più pensieri divergenti. Questo laboratorio è avvenuto in alcuni particolari momenti o con gruppi già particolarmente affiatati e sicuri.
Storie al Futuro Altro modello di laboratorio che è stato utilizzato con varie modalità in tutti i percorsi realizzati. In particolare si portavano a conoscenza dei ragazzi e delle ragazze storie di difficoltà e di oppressione da cui attraverso percorsi comunitari, emancipativi ci si è risollevati. Questo laboratorio ha poi permesso di “mettersi nei panni” delle varie situazioni raccontate, ma allo stesso tempo di provare a (ri)vedere la propria storia già non destinata a priori. (disegno, teatro, gioco di carte, video e audio)
SPORTELLO NARRATIVO ITINERANTE – METODO DIXIT
Nella prima fase del progetto abbiamo girato con il nostro furgoncino nei vari territori coinvolti cercando di incontrare giovani che in qualche modo potessero essere interessati al progetto, alla tematica che portavamo avanti e che soprattutto avessero voglia di condividere una prima parte di ricerca e di relazione insieme. Da questi incontri di “strada” abbiamo iniziato a sviluppare una piccola metodologia di ascolto delle loro idee e istanze sul tema lavoro. È nato il metodo Dixit per NEETwork educante. Centinaia di immagini prese da giornali, riviste, libri venivano usate come innesco per stimolare riflessioni, dialoghi o veri e propri dibattiti su cosa potesse significare “il lavoro” per le persone che agganciavamo.
Cosa è per te il “lavoro”? Cosa significa per te lavorare? Cosa suscita in te il pensiero del lavoro?
Questo vuole essere un brevissimo e sommario report delle principali immagini scelte e delle suggestioni/dialoghi/risposte avute negli incontri.
Ragazzi/e coinvolti: circa 190-200
Dixit-1: scelta 14 volte
Principali risposte Tema: Lavorare in corrispondenza con le proprie passioni/attitudini/Guardare positivamente al futuro/Cambiare in modi divertenti
Dixit-2: scelta 11 volte
Principali risposte Tema: Riuscire a mantenersi/Guadagnare tanto/Autonomia Economica
Dixit-3: scelta 9 volte
Principali risposte Tema: Fare una famiglia/Aiutare a casa/Costruire qualcosa di importante, bello e duraturo
Dixit-4: scelta 8 volte
Principali risposte Tema: Lavorare per poi stare bene nella vita/Fare cose belle e divertenti senza pensare troppo alla quotidianità/Autonomia dalla famiglia e dai rapporti difficili
Dixit-5: scelta 5 volte
Principali risposte Tema: Saper fare bene un mestiere/Avere capacità che vengono apprezzate/Avere successo/Essere riconosciuti/Essere soddisfatti di ciò che ci capita e succede
Dixit-6: scelta 4 volte
Principali risposte Tema: Paura del mondo del lavoro/Essere costretti in una dimensione che non piace, che fa stare male/Fare un mestiere brutto/Essere senza prospettive
Dixit-7: scelta 4 volte
Principali risposte Tema: Andare all’estero/Vedere come si vive in altri posti/Cercare fortuna e soldi in altri posti/Essere valorizzati in altri contesti
Dixit-8: scelta 3 volte
Principali risposte Tema: Non cambierà la vita ma ci provo/Fare un lavoro con le mani/Imparare dagli Altri/Avere qualcuno che guida e aiuta