È banale ricordarlo, ma viviamo insieme agli altri. E ne abbiamo bisogno.
La pubblicità e la propaganda cercano di convincerci che la vita è una lotta per uomini duri, che bastano a sè. Le grandi catene di distribuzione cominciano ad aprire 24 ore su 24: così non potrà più capitare di ritrovarsi senza sale a tarda sera, e di dover suonare al vicino di pianerottolo. In realtà, lo sappiamo, frequentiamo mille luoghi di socialità: alcuni imposti, altri scelti per assecondare le nostre esigenze ed inclinazioni. Ma spesso non ci poniamo di fronte ad essi in maniera problematica. Tendiamo a subire le relazioni nelle quali entriamo, e le situazioni ci plasmano senza che riusciamo a portarvi nulla di personale: nessuna parte di noi si esprime nella vita che conduciamo, e procediamo inerzialmente estranei a noi stessi.
Stiamo vicini uno accanto all’altro come bottiglie vuote, e quando cozziamo suoniamo senza costrutto. Ci illudiamo di ritrovarci nel rifugio di una mitica sfera privata: le nostre mura di casa, la nostra famiglia, la nostra solitudine. Eppure non c’è nulla di nostro neppure lì: tutte le vite, se guardate troppo da vicino, diventano indistinte e si confondono. Anche le cose più intime, se ci liberiamo dall’illusione fallace di essere unici e irripetibili, si rivelano seriali e posticce.
Pensiamo di scegliere, ma se non ci interroghiamo sul significato di ciò che facciamo, e se non condividiamo i nostri dubbi con gli altri, rimarremo sempre turisti delle nostre vite. È importante coglierci come parte di una comunità, e iniziare a chiederci che senso abbia questa appartenenza. Cominciare con il racconto di un’esperienza può essere il primo passo di un lungo percorso di conoscenza e di trasformazione.
Oreste Borra