Quando Alberto Contu mi ha contattato per la prima volta non conoscevo bene il progetto Cultura in Movimento, un po’ me ne aveva parlato Liliana Cupido di Canicola (come di qualcosa che le sembrava affine al nostro modo di lavorare a Cotignola) e questo già bastava per essere curioso e volerne saperne di più, certo che la segnalazione di Liliana fosse significativa e non fatta tanto per dire. Ma era inizio giugno, la scuola stava finendo e poi c’era Cotignyork, la nostra festa per bambini e grandi accompagnati, così non ho avuto molto tempo per approfondire.

Poi Alberto mi ha scritto chiedendomi di pensare ad un progetto che in qualche modo avrebbe dovuto rispondere ad una richiesta di ragazze e ragazzi delle medie e superiori in seguito a un percorso partecipato portato avanti nei loro spostamenti e incontri, percorso che aveva portato alla luce domande ed esigenze, e futuro e speranze anche; così, non si è trattato per me solo di un’opportunità di lavoro ma anche della possibilità concreta di vedere da dentro alcuni meccanismi e conoscere questa realtà, con le loro modalità di movimento e modi di vedere altri, che sì parevano muovere su dinamiche e urgenze simili, a partire da un lavoro che si svolge tutto sommato in zone periferiche e, pur se non abbandonate certo, comunque più avare di occasioni rispetto a centri più grandi, ma proprio per questo forse capaci di maggiore attenzione ancora. Quindi, per usare una parola cara a quelle zone, un presidio: non intimorito si badi bene, aperto, niente affatto aristocratico, popolare per quanto questa parola possa suonare logora o svuotata di senso o retorica.

E poi l’agire con la convinzione che la cultura, nelle sue infinite ramificazioni quotidiane e aspetti vitali e necessari, e il fare come tentativo di comprensione del mondo e ascolto, rappresentino una forma fertile e indispensabile di emancipazione, con coltivazione e crescita frutto di una partecipazione diretta sul luogo e una dimensione di un gioco impegnato e tempo condiviso come modalità possibile che gira intorno ad alcuni centri, quasi case, come il circolo Arci Cinema Vekkio.

Qui, mi è stato chiesto di pensare ad un laboratorio sulla streetart: non sono propriamente definibile come street artist, sono più un pittore ed un educatore, però ho dipinto alcuni muri e seguo per il Museo civico Luigi Varoli di Cotignola (in provincia di Ravenna) un progetto che si chiama “Dal museo al paesaggio” mappa di muri dipinti che, se da un lato mira a congiungere appunto museo e paesaggio, centro cittadino e campagna, lo fa poi innestando e guardando a storie, memorie e fantasmi del luogo. Perciò, e sicuro mi piace di più come definizione, qualcosa che ha a che fare con una certa idea di arte pubblica, o museo all’aperto, un museo che esce in strada e nei campi, e incontra il mondo.

Ho mescolato un po’ le carte a partire da questa richiesta e ho proposto ad Alberto una giornata intera con i ragazzi fatta di tre momenti distinti e al tempo stesso collegati tra loro: prima una sorta di lezione sulla storia della streetart (una storia che ho detto loro essere partigiana, una delle molte possibili), poi un laboratorio di disegno dal vero in cui i ragazzi hanno realizzato un ritratto di una compagna o un compagno guardandosi a vicenda negli occhi (disegnando senza poter cancellare) e infine nel pomeriggio hanno poi dipinto su grandi pannelli di legno ingrandendo i loro volti. Il nostro volto, quello di giovani adolescenti, spesso invisibile, messo al muro e pubblico come a dire che ogni vita è straordinaria e sorprendente, e che siamo un po’ star, una specie di rivendicazione gentile, una presenza che testimonia dell’esserci al mondo, eccetera eccetera.

È il venerdì 7 settembre, una delle ultime giornate di vacanza, il giorno prima è piovuto molto intensamente, ad Alba e dintorni, le strade per un po’ allagate; ma venerdì è caldo e c’è il sole, è una giornata bellissima. Sono arrivato la sera prima e ho dormito al Cinema Vekkio, un posto bello e accogliente, appena arrivato una merenda intorno al tavolo grande, con Alberto e Chiara e Claudio e le ragazze e i ragazzi che frequentano il posto, tanti.

Alla mattina ci spostiamo per colline fantastiche, dieci chilometri o giù di lì, a incontrare e attendere una ventina di ragazzi che, piuttosto che andare a zonzo o dormire tutta la mattina, alle 10 sono pronti a dividersi tra occhio e mano, tra giocoleria e circo e pittura e disegno.

Ho deciso di partire con la cosa più difficile, quasi a tastare temperature e attenzioni, faccio una lezione frontale sulla storia e le storie dell’arte murale, e parliamo di risvoltini nei jeans, di musica rap e punk, di Andree the Giant e tanto altro. Va tutto bene, sguardi vivaci e domande, Attenzione. Si sta bene. Poi disegniamo, fatica all’inizio, e timore e divertimento, e una volta sciolte diffidenze e paure i disegni affiorano potenti e personali. Grande concentrazione e sorrisi. Si mangia. Alle 14, prima del previsto, cominciamo a dipingere sotto al sole, in un bianco nero un po’ primitivo. Concentrazione e velocità. Bello dipingere e sporcarsi anche. E soprattutto senza paura di sbagliare, qualcosa deve succedere, e può arrivare lo stupore. A metà pomeriggio abbiamo finito. C’è ancora tempo e voglia di stare insieme, giochiamo a pallone, grandi e piccoli.

Forse la cosa che maggiormente mi ha colpito è questa attitudine e capacità di tenere insieme età diverse, bambini, ragazzi e adolescenti, gli educatori gentili, un posto comune e un rispetto diffuso. Un’atmosfera felice e partecipata. Grazie ancora, agli adulti che coltivano e preparano il terreno, ai ragazzi e alla loro voglia e desiderio di partecipazione e stare insieme.

PS: E, a suggellare questo fine settimana speciale, giovedì sera ho anche visto ad Alba Giovanni Lindo Ferretti, e tutto quello che ho vissuto è davvero l’opposto resistente di “produci consuma crepa”.

Massimiliano Fabbri